Arte e Semiologia
Un'artista che chiama al divino. La sperimentazione di Adriana Signori rivela una pittrice d'attualità per l'uso polimaterico "durante" l'azione tonale e neoplastico "durante"la proposta dei significati. L'assemblaggio dei colori acrilici - colori di vetro, stucco, malta sabbiata - si esprime con una singolare morbidezza di stasi-movimento, stasi-divenire: l'originalità di questa pittura informale convince - cioè e soprattutto - per il rimando al distinto di un calmo, inavvertibile muoversi del tempo, che lambisce acqua e cose, portando a galla la sostanza del valore estetico. Attraverso un osservatorio "aereo" Adriana induce a seguire chiari percorsi e soste serene, a riposare l'anima su orizzonti di contemplazione. La ricerca della luminosità prima, la luce trovata poi non sono illusoriamente abbaglianti, ma riflettenti e riflesse, mai meste nel loro definirsi. Questo teorema, espresso dalla coscienza pittorica, porta l'artista ad applicarlo tanto all'immaginario storico, quanto al contingente, che è offerto da una personalità dai recessi struggenti. Ci arriva da essa, con delicatezza, l'indicazione all'ordine, alla catalogazione di segni mnestici e non, in una storia, la nostra, sgretolata, scomposta nella bellezza. Vediamo, per esemplificare, la plasticità di quell'albero primigenio, inserito dall'artista in un tempo-luce non ancora definito, forse prototipo dell'abbozzo divino nell'Eden perduto: è proprio qui che la forza ramificata, dirompente, vibrante e dispersiva del presente costringe a considerare il punto aurorale di ogni percorso. La tensione pittorica non si fa aggressiva nel proporre un archetipo di riferimento, ma, sciogliendo i rami confusi della mente, prospetta la negazione di ciò che è disorientante per indirizzare al sublime. Affidandosi alle tonalità dell'azzurro, colore dell'anima, Adriana ha la forza evocativa di sedurre attraverso l'evidenza e il candore; ha il coraggio di mostrarci cieli rovesciati in uno specchio, dove riverbera, più cosciente e sicura, l'immagine della bellezza. E vorremmo vagheggiare, per un cronologico futuro, un destino altrettanto terso e possibile. (Tozzi M.L., Reggio Emilia, 26.3.2009) |
Adriana Signori: "Eden" |
Va rivisitata, attraverso Verani, l’affermazione che la scultura
privilegi i valori autonomi delle forme anziché i significati mediati
delle figure; che neghi, nel suo realismo, un rimando al simbolico, al
meta-fisico.
Verani scultore offre molteplici interpretazioni – ad esempio può
apparire che egli risponda ai canoni estetici neoclassici o rimandi a
Rodin, a Brancusi, a Moore – perché il plausibile è legato alla messa in
campo di individuali archetipi. Ma occorre non fermarsi qui e
intraprendere un’indagine linguistica più lungimirante.
La prima evidenza ci dice che Verani non è celebrativo
dell’esteriore, ma che sprigiona una filosofia profonda, leggibile, nel
suo plastico emergere dallo spazio, attraverso accenti sofisticati,
liberi da contaminazioni.
La purissima dimensione di questo “scavatore primigenio e autonomo”,
alla scoperta sacrale del sé, per dilatarla e confrontarla con quella
del mondo, attraverso percorsi a spirale – verso l’imo, verso l’eccelso-
si esprime nel continuo ripetere, ricalcare lo studio del punto
d’arrivo, per oltrepassarlo.
Ecco allora il bel commento di Dall’Acqua - che vede nelle sculture
“forme rilegate su se stesse, viventi in una atemporalità che le lega
al silenzio.. chiuse in una corporeità lieve, che ha l’incombenza
necessitante del definitivo e dell’eterno” - chiarirci come la
“forma” sia occasione per l’artista di porsi dialetticamente all’interno
di un umanesimo in fieri, quasi a provocarne, attraverso un’affettività
materna, la contemplazione del valore, della persistenza, che annulla
la morte fin dall’inizio, come condizione estrema dell’esistenza (Dall’Acqua), e la liberazione escatologica.
E’in questa tensione immaginaria, in questo segmento tra vita e morte
che nasce la forma “aurorale” di Verani, che rimanda ad un perpetuo
ciclico riproporsi di sostanza ontologica e dunque simbolica: attorno
alla materia - al nulla - egli concretizza l’eternità del provvisorio,
la “descrizione” del tempo e dello spazio come categoria di lettura ad
una simbologia misterica dell’altrove o di un noi danneggiato,
inseguente un sublime ancora ignoto. Spazio e tempo vengono utilizzati
come attesa: dalla Sirena che ascolta il suo
esistere nella sua eco; dallo scorrere lento della Partita dei
giocatori; dal Passero che pone mente alla sua morte,
dall’ora protesa verso la Nascita del figlio.
Ecco lo spazio come luce-illuminante, come “verità di visione”, come
rimando al senso estremo della vita; ecco lo stilema dell’uovo
cosmogonico, che ha, nella sua circolare sezione, la nudità simbolica
del seme e del divenire.
Non sorprende, dunque, che l’artista “riprenda e ripeta le sue
opere con leggere varianti”: in quanto il vocabolario,
l’utilizzo del lessico plastico-scultoreo, sono “parola”, abilmente
declinata e materializzata dal suo luogo mentale: “Il vocabolario
volutamente elementare di Verani piega la materia alla sua volontà di
rigorosa architettura e di verità”, dirà N. Lomothe, “rivelando
un legame intimo tra pensiero e gesto”, tra pensiero e “parola”.
Rimando all’astrazione simbolica, dicevamo, attraverso la forma.
Mentre filosofia, scienza e sperimentalismo artistico, nello
spartiacque di quest’ultimo millennio, hanno condotto alla nomadia dei
valori, giunge dalla bellezza di Verani il segno di una futuribile
ri-generazione: quello di un a capo, per non essere condannati
alla qualità di indovini danteschi; quello dell’impellenza di ri-leggere
la strada della supremazia di un’onnipotenza delittuosa: e ri-collocare
- partendo dalla plasticità del silenzio e poi dialogando a due a
due, a due a due – i semi di un’umanità più arrendevole, materna, fedele
alla luce."
(TOZZI M.L., Lo scultore Verani, Parma, P.le Volta, 9.12.1999)
(*) SPAGGIARI ANNA (a cura di), Raymond Verani, Grafiche STEP, Parma 1999
Alda Ugolotti Bettati, Angela Cantarelli, Paola Gianello, Arnaldo Dini (ms), Nicola Rossini, Elia Ragazzini (ms), Carmen Bedini, Romano Peli, Francesco Pellegri.
Hanno scritto su di lei: G. Luigi Coluccia, Marco Pellegri, Rosangela Rastelli, Giuseppe Marchetti, Giancarlo Baroni, Bruno Piccinini, Giorgio Torelli, Pietro Bonardi, Romano Peli, Lorenzo Sartorio, Letizia Leviti, Roberto Cerocchi, Laura Puglia.